mercoledì 19 marzo 2008

Châteauneuf du Pape

Châteauneuf se ne sta a due passi da Avignone e non lontana da luoghi petrarcheschi come la fontana di "Chiare fresche e dolci acque".
Quando il Papa era confinato li', vi fece piantare delle vigne e costruire un castello. Castello che ora è in rovina, mentre il vino gode nuovamente di meritata fama dopo un breve periodo di oblio.

A Châteauneuf sono stato la prima volta nel 1999, e poi più volte. E' un bel paesino della Provenza, ma, a parte le rovine del castello, non sembra, a prima vista, possedere tante attrattive. Il segreto del suo successo, come al solito, è nel sottosuolo (gli esperti si potranno godere la cartina qui in basso) e nel microclima.



Il Mistral infatti soffia centotrenta giorni all'anno, asciugando gli acini dalle piogge, mentre il terreno ciottoloso preserva il calore del sole.

Negli uvaggi predomina la grenache (che alcuni produttori vinificano in purezza), ma sono 13 i vitigni ammessi. Oltre questa: syrah, mourvèdre, cinsault, vaccarèse, counoise, muscardin, picpoul, terret noir, roussanne, clairette, bourboulenc e picardan.

Un ottimo sito, che riporta moltissimi produttori della zona è questo.

Prossimamente parlerò di Ancien Domaine des Pontifes e del Domaine Raymonde Usseglio, due produttori poco noti (soprattutto il primo) e dall'ottimo rapporto qualità/prezzo.

In questo post vorrei raccontare di una recente degustazione che mi ha permesso di ritrovare vecchie glorie e scoprire domaines che non conoscevo.

Domaine de la Mordorée 1999
Al naso amarena sotto spirito, non troppo complesso, tutto sommato ordinario, senza grandi slanci. In bocca corposo e tannico senza particolare eleganza. Potente ma non imponente.

Château de Beaucastel 1999
La classe non è acqua. Non a caso, questa è una delle etichette piu' blasonate. Il naso è etereo e speziato con note di frutti di bosco ed echi di sottobosco. In bocca la mora matura si evidenzia con chiarezza. Bel corpo e tannini eleganti.

Domaine de Marcoux Vielle Vignes 2000
La sorpresa della serata. Ringrazio chi mi ha presentato questo energico giovanotto, ancora con molti anni davanti ma già piacevolissimo. Naso etereo e speziato in cui predomina la ciliegia sotto spirito e si sentono echi di lavanda. In bocca estrema eleganza e finezza. Molto lungo.

Château Rayas 2003
Un mito. Anche così giovane ha modo di esprimere la classe e il fascino per cui è giustamente famoso. Il naso è suadente, complesso, etereo e minerale. Note di lamponi, spezie (noce moscata soprattutto) e incenso. Un naso quasi borgognone. In bocca tornano finissime le note speziate, accompagnate da una splendida mineralità e sapidità. Lunghissimo e affascinante.

Château du Mourre du Tendre 2003
Altro produttore non molto noto (dubito abbia un importatore italiano) ma proprio bravo a tirar fuori dal terroir tutte le potenzialità aromatiche di questo fino. Il naso infatti è molto intrigante, con note dolci (alchermes, cassis ... sembra quasi di sentire una zuppa inglese), spezie dolci e un'eco lontana di funghi selvatici. In bocca un po' esile, ma finissimo ed elegante.

sabato 15 marzo 2008

Il perfezionista

Una sera di ottobre del 1995 un uomo celebre, un uomo di potere, amante dei piaceri della tavola e del vino, bussava alla porta della Cote d'Or. Lo sguardo triste e un po’ spento. Magro, ma non in forma. Quell’uomo era lì per assaggiare un’ultima volta la cucina di uno dei suoi chef preferiti. Non sarebbe piu’ tornato in quel ristorante. Stava gia’ lasciando questa terra.Quell’uomo si chiamava François Mitterrand e il suo cuoco, quella sera, era Bernard Loiseau. In una nazione in cui gli chef sono portati in palmo di mano, acclamati o criticati come da noi gli allenatori di calcio, in una nazione che si appassiona alla classifica dei ristoranti stellati e si accalora nel discuterne come noi in un bar sport a parlare di pallone, in una nazione in cui il sito ufficiale del governo - del governo! - riporta i principi della nouvelle cuisine, in una nazione fatta così, quella che secondo De Gaulle non si poteva governare perche’ ci sono 400 varieta’ di formaggi, in questa nazione insomma, e’ del tutto normale che il Presidente sia un gourmet. E che una bella cena possa essere uno dei suoi ultimi desideri.

Mi piace immaginare che quella notte Saulieu, un borgo niente affatto pittoresco della Borgogna, fosse immersa nelle brume dell’autunno inoltrato. Non c’era mai un bel clima in quella stagione, i clienti scarseggiavano e anche un auvergnat come Bernard Loiseau poteva deprimersi a lungo andare, in attesa di un’estate che durava sempre troppo poco. Era aperto mattina e sera, sette giorni su sette, il suo ristorante: un indirizzo glorioso che aveva conosciuto la fama e la gloria delle tre stelle e che lui, con il suo maniacale lavoro, con la sua propensione "mediatique", con il genio ed il sudore, era riuscito a riportare da zero a tre stelle.

Ma Loiseau non dormiva sugli allori. Nessuno dovrebbe: le stelle si guadagnano e si perdono. E poi a lui non bastava essere al top. Voleva essere il top, il primo, il piu’ grande.

Rudolph Chelminski, un giornalista americano che vive a Parigi da piu’ di trent’anni, ha dedicato un libro alla storia di Loiseau. Una storia che finisce tragicamente. Con un suicidio. Un suicidio inconcepibile probabilmente per tanti telespettatori francesi - la TV ne parlo’ per giorni nel febbraio del 2003, mentre impreversava la crisi tra Stati Uniti e Iraq che sarebbe sfociata nella guerra - ma che leggendo il libro appare quasi l’inevitabile conseguenza della follia del cuoco che voleva essere il numero uno. "Il perfezionista", cosi’ si intitola il bellissimo saggio di Chelminski, è la storia di un’ossessione, della ricerca della perfezione, della maniacale cura dei particolari, dell’invincibile impulso a controllare e a dirigere tutto, come uno chef d’orchestre, un direttore d’orchestra che vorrebbe dirigere anche il suo pubblico.

Sfilano tanti testimoni nel libro. Uno di questi parla di "musica in bocca" e ricorda bene Loiseau rimproverare un cliente amico perche’ stava parlando troppo ("Mangia!" gli disse). Tutto doveva essere "tre stelle", alla Cote d’Or, anche il pavimento e i rubinetti in bagno. Ma quella che per tanti professionisti e’ una costante e inesauribile ricerca dell’eccellenza, per Loiseau, probabilmente affetto da depressione bipolare, era fonte di angoscia e di tormento. La paura di non farcela, di non riuscire a diventare il numero uno al mondo. E cosi’, una retrocessione nel punteggio della Gault Millau fu la classica goccia che fece traboccare il vaso e lo porto’ al tragico gesto. Non si creda pero’ che la lettura del libro sia angosciante, anche se non si puo’ non provare simpatia, proprio nel senso etimologico del termine, e quindi non si puo’ non soffrire per questo straordinario personaggio, questo giovanottone dal sorriso contagioso che ha mandato in estasi legioni di gourmet di tutto il mondo. Sette giorni su sette. Mattina e sera. 364 giorni su 365.

Chelminsky non si e’ limitato pero’ a farne la biografia. Ha fatto di piu’. Ha delineato una storia dell’alta ristorazione francese a partire dalla mitica Pyramide a Vienne di Fernand Point: il maestro di Bocuse e dei fratelli Jean e Pierre Troisgros. Fu da loro, a Roanne, che Loiseau fece la sua gavetta, cominciando, come nei romanzi americani - ma quelli a lieto fine - dalle incombenze piu’ umili (e si era in tempi di cucine a carbone, e le si doveva pulire tutti i giorni). Nelle pagine del giornalista americano, sfila una Francia rurale e proto-industriale che non c’è piu’. Una Francia ancora senza autostrade. Una Francia di commessi viaggiatori che potevano mangiare alla "table d’hote", ovvero a menu fisso, agli stessi grandi ristoranti tri-stellati. Una Francia che non aveva ancora demonizzato il colesterolo. Burro, burro e burro, "datemi ancora del burro!", gridava sempre il monumentale Fernand Point, immenso e piramidale come nella famosa immagine immortalata da Robert Doisneau.

Chissa’ se quella sera Mitterrand, mangiando per l’ultima volta alla Cote d’Or, ripensava a un altro dei suoi piatti preferiti. Chelminski ce lo racconta e ce lo fa sognare: e’ la poularde Alexandre Dumain, un monumento della gastronomia francese. Si prendeva una pollastra (naturalmente di Bresse) e la si poneva su un treppiede all’interno di una grossa pentola di coccio. La pollastra cuoceva a vapore, ma che vapore! Il vapore prodotto dal sobollire di tre fondi di cottura (diluiti): pollo, ossa di pollo e vitello. A parte, sempre nel coccio, evaporavano in un contenitore: cognac, porto ed essenza di tartufo. Senza contare che la pollastra stessa era ripiena di verdure, tartufi e foie gras e foderata di tartufi tra la pelle e la carne. Un panno copriva la pentola e imprigionava gli aromi, che esplodevano infine nel naso di clienti, e in tutta la sala! Si puo’ afferrare il vapore? Si puo’ trasformare il vapore in gioia e godimento? Se ci emozioniamo al cinema guardando delle ombre, possiamo emozionarci a tavola per aromi e profumi. E’ un’estasi molto terrena, materiale e immateriale allo stesso tempo. Sublime nel vero senso della parola. Questo e’ il senso della grande cucina, di un grande ristorante e di un grande interprete. Il merito del libro di Chelminski e’ di farci afferrare in pieno questo senso, di stuzzicare le nostre papille gustative e cerebrali, accompagnandoci in un viaggio affascinante tra le stelle della gastronomia.

venerdì 14 marzo 2008

Liste indigeste

un redattore (sicuramente un sabotatore comunista) ha inserito proprio questa pubblicita' nelle due pagine de "Il Giornale" in cui vengono presentate le liste del PDL