domenica 1 marzo 2009

Non solo arpeggi, anche amici Luigi, Gazzette, maccheroni e altro


Arrivo a Parigi, ma non trovo fanfare, tappeti rossi, fiori in omaggio per tutti gli italiani. Eppure ci hanno appena rifilato una tecnologia nucleare che pare non sia proprio la piu' avanzata, pochi mesi fa gli abbiamo quasi regalato una compagnia aerea, senza contare la donna per il loro capo ... che ingrati 'sti francesi!

Sulla strada per il mio appuntamento in città (ci arrivo con il comodissimo RER: otto euro e quaranta contro gli undici del penosissimo "Leonardo Express" ... ma basta paragoni d'ora in poi!) mi imbatto in uno dei negozi - cioè, diciamo meglio, delle boutiques - di Pierre Hermé ... ma guarda un po' che coincidenza fortunata ... manco a farlo apposta. Ne compro quattro, pesano 84 grammi, (21 grammi l'uno, il "peso dell'anima" del bel film di Iñárritu, e questa è davvero una coincidenza ... o forse no).

Assaggio subito quello al gelsomino: i denti affondano in una pasta dalla consistenza quasi eterea tanto è soffice, ma allo stesso tempo non molle, quasi croccante. E il ripieno è straordinario, profumato, molto dolce, si ferma un attimo prima di diventare stucchevole.

Cominciamo bene!

La sera vado a mangiare con mio cugino all'Ami Louis, un locale che da anni resta identico e immobile. Fedele a se stesso, al folklore delle sue porzioni pantagrueliche, alla gentilezza sbrigativa dei camerieri, al rito dei soprabiti lanciati in alto su mensole sopra i tavolini e al culto delle straordinarie materie prime delle Landes.

A Roma un posto storico del genere, passando di generazione in generazione, forse si sarebbe già sputtanato, abbassando la qualità del cibo e campando di rendita.

Ma avevo detto basta paragoni, torniamo a Parigi.

Diciamo subito che i prezzi sono altissimi: 54 euro per una porzione di patè di foie gras (e pure in due facciamo fatica a finirlo) non sono pochi, anche se la qualità è altissima. E pure lo splendido pollo arrosto a 78 euro non è proprio regalato. Beviamo un Santenay vielles vignes 2006 di Bernard Morey (56 euro in una carta con ricarichi non proprio teneri).

Come lo definiremmo il rapporto Q/P di un simile ristorante? Ma ha importanza definirlo? A Napoli si dice "dove c'è gusto non c'è perdenza". E' stata una bella serata di un febbraio che poteva essere 2009, ma anche 1999 e forse anche 1939 ... e questo è quanto.

Della pausa pranzo a rue de Varenne il giorno dopo ho già detto. La sera siamo stati invece nel Marais in un bistrot ebraico (ma non kasher) "Chez Marianne". Alle pareti ritratti ultra-kitsch della Marianna (che non e' la moglie del proprietario, o forse pure, boh) insieme a tutti i presidenti della quinta repubblica. Atmosfera parecchio incasinata, rumore, tavolini piccoli e ravvicinati. Assaggini di falafel, pastrami, fegatini. Abbastanza buono ed economico (un 25 euro a testa).

Il giorno dopo, prima di partire, faccio in tempo a provare "La Gazzetta" in rue de Cotte, nel dodicesimo. Quartierino vivace, pieno di locali e localetti, ma non artefatto (e senza graffiti!), insomma pare quasi la bella copia del Pigneto ... oops mi sono distratto, un altro paragone.

Assente lo chef (per una manifestazione in Canada) opera sous-chef Giovanni Passerini, già di "Uno e Bino" come molti già sapranno.

L'ambiente della Gazzetta (il nome è ispirato alla rosea, che lo chef Peter Nilsson leggeva a Roma seguendo le gesta del connazionale Laudrup) è molto bellino, bistrottesco elegante, con tavolini sia di marmo sia di legno, senza essere affettato o lezioso. Qui non c'è il superfluo, il particolare estetico troppo ricercato, ma non è neanche un posto spartano. Si sta bene, e si viene accolti da musica popolare italiana di qualità (Celentano, Lucio Dalla) e acqua Ferrarelle.

Prendo un entrée composta da tre assaggi: un polpo alla piastra su letto di patate, molto buono, una pizza bianca con "rillettes de maigre aux carvi", cioè pezzettini di magro (di maiale?) con il carvi che è una specie di cumino e, soprattutto, una zuppa di cipolle con sedano servita molto calda in un ampio bicchiere. La lascio raffreddare e la assaggio per ultima. Mi sorprende per la sua semplicità e il suo equilibrio. Bella la nota di sedano che aggiunge freschezza a questo grande classico, qui in versione da bere.

Come piatto principale assaggio il "lieu jaune" (ovvero "pollachius pollachius", "merluzzo giallo" secondo l'affidabile Wikipedia). Un bellissimo e freschissimo trancio servito con lenticchie, gustosissimi cannolicchi di mare e un'intrigante salsina acidula ottenuta con un procedimento che lo chef mi ha spiegato, ma nel frattempo ho dimenticato (comportava comunque l'infusione della pelle del pesce).

Come dolce una suadente terrina di banana con frutti della passione e yogurt di pecora.

Il conto è sui 25 euro, compresa un'acqua piccola, un bicchiere di vino e il caffè.

La sera i prezzi sono leggermente piu' alti, ma con una scelta di piatti piu' ampia.

Gran bella cucina: pulita, netta e senza orpelli, con la qualità della materia prima (nel mio caso il pesce, i cannolicchi e il polpo) bene in evidenza.