lunedì 28 luglio 2008
mercoledì 4 giugno 2008
Morioka, Iwate
Ho visitato gli studi dei professori e i laboratori degli studenti. Ci vivono dentro evidentemente. In questa stanza hanno a portata di mano anche il phon.
Semafori blu
martedì 27 maggio 2008
Il giorno dello Shinkansen
Finalmente l'ho preso. Il mitico treno. Letteralmente "la pallottola". L'antenato di tutti i TGV e tutti i pendolini. Non tutti hanno la forma così aerodinamica, il mio era un po' più normale, sempre comunque molto affusolato.
Certo che quando il biglietto si presenta così ci sono un po' di problemi.
Ho dovuto chiedere a un nativo quale carrozza e quale posto prendere.
A bordo cinque sedili per fila e molto spazio per le gambe. Molto piu' che in Italia, eppure i giapponesi sono mediamente piu' piccoli. Quasi tutti tirano fuori dei vassoietti di cibo già pronto e mangiano tranquillamente con le bacchette. Non si vedono panini. Ogni tanto passa una ragazza col carrello dei dolciumi e del caffè. Arrivata in fondo al vagone si gira, si rivolge ai passeggeri, fa un inchino e prosegue oltre.
Ah, il Giappone!
domenica 25 maggio 2008
L'arrivo in Giappone
Sveglia alle sei, in auto all'aeroporto e la fortuna di trovare un parcheggio gratuito. Scalo a Zurigo e poi alle 13 si decolla per Tokyo. Undici ore e mezza fantozziane in una poltroncina strettissima e poi all'arrivo, per il mio fuso orario quasi all'una di notte, ma qui sono le 7.50, una bella fila al controllo passaporti di tre quarti d'ora. Ti scattano una foto e ti prendono anche le impronte digitali, finiremo per copiarlo anche noi.
Domani vado a Morioka, nel nord del paese. Prenderò il famoso pendolino, lo Shinkansen, letteralmente "pallottola". Nel frattempo un giorno di riposo ci vuole, e il mio ospite mi ha prenotato un anonimo e confortevole albergone nei pressi dell'aeroporto. In stanza cortesie tipicamente nipponiche, come il kimono e le pantofoline per i clienti.
Ma prima, ciliegina sulla torta, ho dovuto aspettare nella hall quasi due ore, perché il check-in non era ancora cominciato. Rigidità di questo affascinante paese in cui il rispetto degli orari è sacro.
Nel frattempo mi sono guardato un po' di invitati defluire al matrimonio di Tomokazu e Natsuki (gli sposi non li ho visti però). Giovani vestiti come noi e anziane donne in costumi tradizionali.
venerdì 23 maggio 2008
mercoledì 9 aprile 2008
Eataly: il paese dei balocchi
Ma vale la pena dire che camminare in questo ipermercato del gusto è un'esperienza sensoriale interessante: tranquillizzanti i colori pastello di certe distese interminabili di paste artigianali, allegra la policromia dei frutti e delle verdure, vivace il rosso acceso delle carni della Granda.
"Il Risorgimento del Fritto", proponeva la locandina, alludendo anche al nome del ristorante che ha curato la serata: il Risorgimento di Treiso (CN).
Le ventuno preparazioni verranno servite in sette portate da tre ciascuna (c'è qualcosa di cabalistico in questo 3 per 7). Ad aprire e chiudere un'insalata russa e una torta di pere e cioccolato.
E questi sono i fritti che ci siamo mangiati:
Bistecca di agnello, cavolfiore, granelle
Batsuà, filoni, finocchio
Fegato, salsiccia, lacet
Frise, cipolla ripiena, rane
Melanzana, boscaiolo, bistecca di coniglio
Semolino, amaretto, mele
E poi è sempre un piacere passare una serata con Leo e Margherita. Ritrovando poi Federico, cinefilo desaparecido.
mercoledì 2 aprile 2008
Una dedica di Aldo Fabrizi
a la Cinese, a la Festivaliera,
al Latte, ar Gorgonzola, a la Groviera,
ar Pesto, ar Tettattè, a la Carbonara,
[...]
e in antri mille modi e a tutte l'ora ...
che puro si 'sto monno s'è inquinato ...
vale la pena de soffricce ancora!
Tanti sonetti così, per raccontare la pasta e il modo di cucinarla, ma soprattutto per celebrare un amore, anzi una droga.
presempio a un cocainomane, je danno
'na "pizzicata" de bicarbonato.
Ma ar caso mio, mannaggia li pescetti,
che so' Pastasciuttomane, che fanno?
Me fanno 'n'ignizione de spaghetti?
Io pastasciuttomane non sarò - almeno non ancora - ma trovo difficile resistere alla tentazione di eseguire qualche ricetta. Magari gli "zitoni alla papalina", in cui gli zitoni vengono riempiti uno per uno con pisellini e poi infornati in una teglia a strati con besciamella e parmigiano.
Il padre del mio amico era un grande regista televisivo, non mi stupisce quindi che abbia conosciuto il mitico Aldo e non mi stupisce trovare una dedica autografa del grande attore su questa copia del volume. Diciamo che razionalmente non mi sorprende, ma mi emoziona tantissimo. Arriva dal passato, da un Capodanno 1974, "un treno di auguri valevoli fino ar 2000 e ortre"
Ah, il libro non è più in stampa, volendo qualche copia su eBay si può trovare.
La dedica dell'autore però non ha prezzo (per tutto il resto c'è Mastercard).
mercoledì 19 marzo 2008
Châteauneuf du Pape
A Châteauneuf sono stato la prima volta nel 1999, e poi più volte. E' un bel paesino della Provenza, ma, a parte le rovine del castello, non sembra, a prima vista, possedere tante attrattive. Il segreto del suo successo, come al solito, è nel sottosuolo (gli esperti si potranno godere la cartina qui in basso) e nel microclima.
Negli uvaggi predomina la grenache (che alcuni produttori vinificano in purezza), ma sono 13 i vitigni ammessi. Oltre questa: syrah, mourvèdre, cinsault, vaccarèse, counoise, muscardin, picpoul, terret noir, roussanne, clairette, bourboulenc e picardan.
Un ottimo sito, che riporta moltissimi produttori della zona è questo.
Prossimamente parlerò di Ancien Domaine des Pontifes e del Domaine Raymonde Usseglio, due produttori poco noti (soprattutto il primo) e dall'ottimo rapporto qualità/prezzo.
In questo post vorrei raccontare di una recente degustazione che mi ha permesso di ritrovare vecchie glorie e scoprire domaines che non conoscevo.
Al naso amarena sotto spirito, non troppo complesso, tutto sommato ordinario, senza grandi slanci. In bocca corposo e tannico senza particolare eleganza. Potente ma non imponente.
Domaine de Marcoux Vielle Vignes 2000
Château du Mourre du Tendre 2003
Altro produttore non molto noto (dubito abbia un importatore italiano) ma proprio bravo a tirar fuori dal terroir tutte le potenzialità aromatiche di questo fino. Il naso infatti è molto intrigante, con note dolci (alchermes, cassis ... sembra quasi di sentire una zuppa inglese), spezie dolci e un'eco lontana di funghi selvatici. In bocca un po' esile, ma finissimo ed elegante.
sabato 15 marzo 2008
Il perfezionista
Mi piace immaginare che quella notte Saulieu, un borgo niente affatto pittoresco della Borgogna, fosse immersa nelle brume dell’autunno inoltrato. Non c’era mai un bel clima in quella stagione, i clienti scarseggiavano e anche un auvergnat come Bernard Loiseau poteva deprimersi a lungo andare, in attesa di un’estate che durava sempre troppo poco. Era aperto mattina e sera, sette giorni su sette, il suo ristorante: un indirizzo glorioso che aveva conosciuto la fama e la gloria delle tre stelle e che lui, con il suo maniacale lavoro, con la sua propensione "mediatique", con il genio ed il sudore, era riuscito a riportare da zero a tre stelle.
Ma Loiseau non dormiva sugli allori. Nessuno dovrebbe: le stelle si guadagnano e si perdono. E poi a lui non bastava essere al top. Voleva essere il top, il primo, il piu’ grande.
Rudolph Chelminski, un giornalista americano che vive a Parigi da piu’ di trent’anni, ha dedicato un libro alla storia di Loiseau. Una storia che finisce tragicamente. Con un suicidio. Un suicidio inconcepibile probabilmente per tanti telespettatori francesi - la TV ne parlo’ per giorni nel febbraio del 2003, mentre impreversava la crisi tra Stati Uniti e Iraq che sarebbe sfociata nella guerra - ma che leggendo il libro appare quasi l’inevitabile conseguenza della follia del cuoco che voleva essere il numero uno. "Il perfezionista", cosi’ si intitola il bellissimo saggio di Chelminski, è la storia di un’ossessione, della ricerca della perfezione, della maniacale cura dei particolari, dell’invincibile impulso a controllare e a dirigere tutto, come uno chef d’orchestre, un direttore d’orchestra che vorrebbe dirigere anche il suo pubblico.
Sfilano tanti testimoni nel libro. Uno di questi parla di "musica in bocca" e ricorda bene Loiseau rimproverare un cliente amico perche’ stava parlando troppo ("Mangia!" gli disse). Tutto doveva essere "tre stelle", alla Cote d’Or, anche il pavimento e i rubinetti in bagno. Ma quella che per tanti professionisti e’ una costante e inesauribile ricerca dell’eccellenza, per Loiseau, probabilmente affetto da depressione bipolare, era fonte di angoscia e di tormento. La paura di non farcela, di non riuscire a diventare il numero uno al mondo. E cosi’, una retrocessione nel punteggio della Gault Millau fu la classica goccia che fece traboccare il vaso e lo porto’ al tragico gesto. Non si creda pero’ che la lettura del libro sia angosciante, anche se non si puo’ non provare simpatia, proprio nel senso etimologico del termine, e quindi non si puo’ non soffrire per questo straordinario personaggio, questo giovanottone dal sorriso contagioso che ha mandato in estasi legioni di gourmet di tutto il mondo. Sette giorni su sette. Mattina e sera. 364 giorni su 365.
Chelminsky non si e’ limitato pero’ a farne la biografia. Ha fatto di piu’. Ha delineato una storia dell’alta ristorazione francese a partire dalla mitica Pyramide a Vienne di Fernand Point: il maestro di Bocuse e dei fratelli Jean e Pierre Troisgros. Fu da loro, a Roanne, che Loiseau fece la sua gavetta, cominciando, come nei romanzi americani - ma quelli a lieto fine - dalle incombenze piu’ umili (e si era in tempi di cucine a carbone, e le si doveva pulire tutti i giorni). Nelle pagine del giornalista americano, sfila una Francia rurale e proto-industriale che non c’è piu’. Una Francia ancora senza autostrade. Una Francia di commessi viaggiatori che potevano mangiare alla "table d’hote", ovvero a menu fisso, agli stessi grandi ristoranti tri-stellati. Una Francia che non aveva ancora demonizzato il colesterolo. Burro, burro e burro, "datemi ancora del burro!", gridava sempre il monumentale Fernand Point, immenso e piramidale come nella famosa immagine immortalata da Robert Doisneau.
Chissa’ se quella sera Mitterrand, mangiando per l’ultima volta alla Cote d’Or, ripensava a un altro dei suoi piatti preferiti. Chelminski ce lo racconta e ce lo fa sognare: e’ la poularde Alexandre Dumain, un monumento della gastronomia francese. Si prendeva una pollastra (naturalmente di Bresse) e la si poneva su un treppiede all’interno di una grossa pentola di coccio. La pollastra cuoceva a vapore, ma che vapore! Il vapore prodotto dal sobollire di tre fondi di cottura (diluiti): pollo, ossa di pollo e vitello. A parte, sempre nel coccio, evaporavano in un contenitore: cognac, porto ed essenza di tartufo. Senza contare che la pollastra stessa era ripiena di verdure, tartufi e foie gras e foderata di tartufi tra la pelle e la carne. Un panno copriva la pentola e imprigionava gli aromi, che esplodevano infine nel naso di clienti, e in tutta la sala! Si puo’ afferrare il vapore? Si puo’ trasformare il vapore in gioia e godimento? Se ci emozioniamo al cinema guardando delle ombre, possiamo emozionarci a tavola per aromi e profumi. E’ un’estasi molto terrena, materiale e immateriale allo stesso tempo. Sublime nel vero senso della parola. Questo e’ il senso della grande cucina, di un grande ristorante e di un grande interprete. Il merito del libro di Chelminski e’ di farci afferrare in pieno questo senso, di stuzzicare le nostre papille gustative e cerebrali, accompagnandoci in un viaggio affascinante tra le stelle della gastronomia.