domenica 17 ottobre 2010

Il Sole delle Alpi in Arabia Saudita



La foto che vedete è tratta dal catalogo di una mostra - "Routes d'Arabie: Archéologie et histoire du royaume d'Arabie saoudite" - che si è svolta a Parigi da luglio a settembre di quest'anno.

Questo "Sole delle Alpi", ritrovato ben più a sud delle piramidi, è inciso su una stele con iscrizione greca e risale al terzo o al secondo secolo avanti Cristo.
Rinvenuto sull'isola di Tarut e custodito nel Museo Nazionale di Riyad, è una delle testimonianze della presenza dei greco-seleucidi sulle rotte del Golfo Persico.

La stele è riprodotta alla pagina 384 del catalogo della mostra, pubblicato da "Somogy éditions d'art" e "Louvre éditions", pagg.624, Euro 45, ISBN 978-2-7572-0368-2

martedì 5 gennaio 2010

giovedì 13 agosto 2009

Vergognarsi di essere italiano



Mentre noi leggiamo, scriviamo, giochiamo, facciamo test su facebook, grazie all'equazione clandestino = delinquente, centinaia di persone hanno paura di farsi curare, vivono nel terrore di essere licenziate e perdere tutto, compiono 18 anni e scoprono di non avere diritto a vivere nel paese in cui sono nati, partoriscono fantasmi che non verranno registrati ...

Come italiano mi vergogno di questa barbarie.

Mi vergogno di chi ci governa, mi vergogno del presidente del Consiglio, mi vergogno di questi squallidi demagoghi che dalle chiacchiere da bar sono finiti a palazzo Chigi, mi vergogno di quelli che si dicono cattolici e si interessano piu' agli embrioni che alle persone, mi vergogno dei giornalisti che con mestiere e cinismo parlano alla pancia della gente, mi vergogno per i miei connazionali che abboccano ad articoli e telegiornali telecomandati dal governo.

Auguro a tutti i sostenitori di queste misure sulla clandestinita', stupide e inumane quanto inutili, di reincarnarsi in un senegalese senza carte a posto e con la bronchite cronica.

sabato 18 luglio 2009

Una testimonianza dall'Aquila

Come volete che si stia qui .. ma lo sappiamo solo noi

La gente mi chiede come sto. Come velete che stia? DI MERDA. Stiamo tutti di merda, 70.000 persone stanno di merda. Senza casa, senza la città, senza tessuto sociale, senza gli uffici. Molti di noi non rientreranno nella loro cosa se non tra molti anni (me compresa), molti di noi non ci rientreranno più, perchè la casa la hanno già perduta, o perchè gliela stanno per abbattere. Tutti non rivedremo la città ricostruita prima di 7/8 anni, almeno. Le persone anziane rischiano di non riverderla mai più.

(Tra parentesi: non viene neanche data comunicazione ai proprietari che le case vengono abbattute, ci si aspetta che siano loro ad informarsi. Che so, una cosa tipo: "scusi, che per caso state per abbattermi la casa? ah no? allora che faccio, ripasso tra qualche giorno e magari me lo dite?")

E intanto che facciamo? Chi può lavora, lavora 100 volte più di prima, lavora in condizioni disastrate e disperate. Anche perchè tutti gli aspazi agibili in città sono stati occupati dalla Protezione Civile, obbligando altri operatori cruciali per la ripresa della città, come l'Università ad esempio, ad andare altrove. Una Protezione Civile che, con le parole del rettore Di Orio «ha una visione dell’occupazione degli spazi inquietante», parole su cui non posso essere più d'accordo (http://www.corriereuniv.it/2009/06/laqu ... gliatutto/, o anche http://www.campus.rieti.it/jw/news/attu ... pazir.html

Non tutti però riescono a lavorare, neanche in condizioni disastrate. E' il caso dei dipendenti della Transcom, 360 persone poste in mobilità. La direzione generale spiega di non essere più in grado di pagare gli stipendi perché non più competitiva anche a causa del terremoto del 6 aprile, che ha reso inagibile la sua sede.

E' il caso dei idipendenti della Technolabs - uno dei più importanti Centri di Ricerca e Sviluppo del centro-sud Italia a capitale esclusivamente italiano - 100 (su 160) dei quali hanno solo la prospettiva di 13 settimane di cassa integrazione a partire dall'inizio di agosto.

A fronte di questa drammatica situazione, qual'è la risposta del governo per rilanciare l'economia? Ad esempio quella di richiedere ai residenti del 49 comuni del "cratere", a partire da gennaio 2010, la restituzione dell'IRPEF non versata a seguito del terremoto, da effettuarsi al 100% in 24 rate. Per darvi un parametro di confronto, nei paesi colpiti dal terremoto del'Umbria, l'Irpef non venne versata per 24 mesi, e viene resituita ADESSO, dopo dieci anni e più, al 40% e in 120 rate (situazione analoga si verificò per gli alluvionati in Piemonte).

Cosa passa invece dai mezzi di comunicazione "istituzionali"? Passa la voce di un Presidente del Consiglio che grida al miracolo per la costruzione di alloggi per circa 13.000 persone, quando allo stato attuale solo il 54% delle abitazioni fuori del centro storico è agibile. Se la stessa percentuale fosse valida anche per il centro storico i conti sono presto fatti: circa 35.000 sfollati (tralasciamo poi l'incresciosa situazione del centro storico di cui posso dare testimonianza diretta: del nostro futuro a tutt'oggi non sappiamo nulla, nulla di nulla al di là di poche parole del premier: «nel centro storico il tempo sarà contato non in mesi ma in anni»).

E basta. Questo è il suo miracolo,. E ad agosto il premier vuole prendere casa all'Aquila per seguire i lavori di queste casette perché, parole sue, «l'occhio del padrone, come si dice, sappiamo cosa produce.. (padrone? Padrone? siamo noi i padroni della nostra città, caro premier).

Racconto queste cose, fuori dal "cratere" e la gente sembra non credermi. Abbiamo tutti la sensazione di essere stati abbandonati.

Ma anche qui, tranne in rare eccezioni, le informazioni sulla situazione dei terremotati continuano ad essere condivise solo dai terremotati stessi. E così continuiamo a parlarci addosso.E il resto d'Italia continua a non sapere niente.

E voi, che pensate di fare? Continuare a guardarci come poveri animali allo zoo, che forse stanno anche diventando un po' noiosi a fare e dire sempre le stesse cose da tre mesi? Bè, temo proprio che la noia continuerà per qualche anno ...

Laura Tarantino
Università dell'Aquila

domenica 1 marzo 2009

Non solo arpeggi, anche amici Luigi, Gazzette, maccheroni e altro


Arrivo a Parigi, ma non trovo fanfare, tappeti rossi, fiori in omaggio per tutti gli italiani. Eppure ci hanno appena rifilato una tecnologia nucleare che pare non sia proprio la piu' avanzata, pochi mesi fa gli abbiamo quasi regalato una compagnia aerea, senza contare la donna per il loro capo ... che ingrati 'sti francesi!

Sulla strada per il mio appuntamento in città (ci arrivo con il comodissimo RER: otto euro e quaranta contro gli undici del penosissimo "Leonardo Express" ... ma basta paragoni d'ora in poi!) mi imbatto in uno dei negozi - cioè, diciamo meglio, delle boutiques - di Pierre Hermé ... ma guarda un po' che coincidenza fortunata ... manco a farlo apposta. Ne compro quattro, pesano 84 grammi, (21 grammi l'uno, il "peso dell'anima" del bel film di Iñárritu, e questa è davvero una coincidenza ... o forse no).

Assaggio subito quello al gelsomino: i denti affondano in una pasta dalla consistenza quasi eterea tanto è soffice, ma allo stesso tempo non molle, quasi croccante. E il ripieno è straordinario, profumato, molto dolce, si ferma un attimo prima di diventare stucchevole.

Cominciamo bene!

La sera vado a mangiare con mio cugino all'Ami Louis, un locale che da anni resta identico e immobile. Fedele a se stesso, al folklore delle sue porzioni pantagrueliche, alla gentilezza sbrigativa dei camerieri, al rito dei soprabiti lanciati in alto su mensole sopra i tavolini e al culto delle straordinarie materie prime delle Landes.

A Roma un posto storico del genere, passando di generazione in generazione, forse si sarebbe già sputtanato, abbassando la qualità del cibo e campando di rendita.

Ma avevo detto basta paragoni, torniamo a Parigi.

Diciamo subito che i prezzi sono altissimi: 54 euro per una porzione di patè di foie gras (e pure in due facciamo fatica a finirlo) non sono pochi, anche se la qualità è altissima. E pure lo splendido pollo arrosto a 78 euro non è proprio regalato. Beviamo un Santenay vielles vignes 2006 di Bernard Morey (56 euro in una carta con ricarichi non proprio teneri).

Come lo definiremmo il rapporto Q/P di un simile ristorante? Ma ha importanza definirlo? A Napoli si dice "dove c'è gusto non c'è perdenza". E' stata una bella serata di un febbraio che poteva essere 2009, ma anche 1999 e forse anche 1939 ... e questo è quanto.

Della pausa pranzo a rue de Varenne il giorno dopo ho già detto. La sera siamo stati invece nel Marais in un bistrot ebraico (ma non kasher) "Chez Marianne". Alle pareti ritratti ultra-kitsch della Marianna (che non e' la moglie del proprietario, o forse pure, boh) insieme a tutti i presidenti della quinta repubblica. Atmosfera parecchio incasinata, rumore, tavolini piccoli e ravvicinati. Assaggini di falafel, pastrami, fegatini. Abbastanza buono ed economico (un 25 euro a testa).

Il giorno dopo, prima di partire, faccio in tempo a provare "La Gazzetta" in rue de Cotte, nel dodicesimo. Quartierino vivace, pieno di locali e localetti, ma non artefatto (e senza graffiti!), insomma pare quasi la bella copia del Pigneto ... oops mi sono distratto, un altro paragone.

Assente lo chef (per una manifestazione in Canada) opera sous-chef Giovanni Passerini, già di "Uno e Bino" come molti già sapranno.

L'ambiente della Gazzetta (il nome è ispirato alla rosea, che lo chef Peter Nilsson leggeva a Roma seguendo le gesta del connazionale Laudrup) è molto bellino, bistrottesco elegante, con tavolini sia di marmo sia di legno, senza essere affettato o lezioso. Qui non c'è il superfluo, il particolare estetico troppo ricercato, ma non è neanche un posto spartano. Si sta bene, e si viene accolti da musica popolare italiana di qualità (Celentano, Lucio Dalla) e acqua Ferrarelle.

Prendo un entrée composta da tre assaggi: un polpo alla piastra su letto di patate, molto buono, una pizza bianca con "rillettes de maigre aux carvi", cioè pezzettini di magro (di maiale?) con il carvi che è una specie di cumino e, soprattutto, una zuppa di cipolle con sedano servita molto calda in un ampio bicchiere. La lascio raffreddare e la assaggio per ultima. Mi sorprende per la sua semplicità e il suo equilibrio. Bella la nota di sedano che aggiunge freschezza a questo grande classico, qui in versione da bere.

Come piatto principale assaggio il "lieu jaune" (ovvero "pollachius pollachius", "merluzzo giallo" secondo l'affidabile Wikipedia). Un bellissimo e freschissimo trancio servito con lenticchie, gustosissimi cannolicchi di mare e un'intrigante salsina acidula ottenuta con un procedimento che lo chef mi ha spiegato, ma nel frattempo ho dimenticato (comportava comunque l'infusione della pelle del pesce).

Come dolce una suadente terrina di banana con frutti della passione e yogurt di pecora.

Il conto è sui 25 euro, compresa un'acqua piccola, un bicchiere di vino e il caffè.

La sera i prezzi sono leggermente piu' alti, ma con una scelta di piatti piu' ampia.

Gran bella cucina: pulita, netta e senza orpelli, con la qualità della materia prima (nel mio caso il pesce, i cannolicchi e il polpo) bene in evidenza.

sabato 28 febbraio 2009

L'Arpège, Parigi

Da piccolo insistevano perché mangiassi le verdure "che fanno bene", ma io ero goloso di pasta, carne, pesce, dolci .. un po' di tutto tranne frutta e verdura. Ma se il fruttivendolo del mercato si fosse rifornito all'orto di Passard .. chissà ..

Fatto sta che una cucina cosi' vegetalo-centrica (non vegetariana) non è nelle mie corde, ma non posso che ammirare l'inaudita bontà dei prodotti della terra che lo scrigno dell'Arpège ci dispensa: verdure e tuberi, e non di tutti conosco il nome, ma tutti con un sapore preciso e nettissimo, direi didascalico.

Vado a colazione, sia per approfittare dei prezzi più umani del degustazione, sia perché non ho prenotato con largo anticipo (sono bastati una decina di giorni). La sala è piccola, con i tavolini ravvicinati e l'arredamento non lo trovo bellissimo, ma sono dettagli che mi interessano poco.

Sorvolando sul degustazione al tartufo nero a 420 euro e sulla carta con antipasti dai 60 ai 100 e piatti da 100 a 180, mi concentro sul menu "L'Hiver des jardins" a 135 euro (ma disponibile solo la mattina): 6 portate, formaggio e dessert.

Si comincia con una "Corolle d'endive feuilletée", in pratica un'indivia scottata dal gusto piacevolmente amarognolo sistemata a corolla e circondata da pasta sfoglia. E cosi' abbiamo scaldato le papille gustative.

Seguono "Gnocchi multicolore", sei piccoli gnocchi di tre tipi diversi, molto burrosi, gustosi. Si sciolgono in bocca rivelando un sapiente equilibrio di spezie e aromi dati dal burro alla nocciola.

Nel frattempo sto bevendo al bicchiere un Condrieu 2007 "Domaine de la Pierre Blanche", in cui la nota fruttata dell'albicocca è molto presente in bocca, insieme a un'elegante mineralità appena appena pronunciata.

Arriva un hamburger vegetale veramente sfizioso (il nome del piatto è "Brioche des légumes à la moutarde d'Orléans onctueuses"). In pratica i legumi sono la carne, l'ovetto è di quaglia e c'è anche uno pseudo-ketchup fatto di barbabietole. Ora si fa sul serio. Un piatto buonissimo.



Il godimento però raggiunge l'acme con la portata successiva: "Soupe fumante ...!". Si tratta di una vellutata di topinambur con spuma allo speck (da qui il gusto affumicato richiamato nel titolo). Servita in tazza, visivamente può far pensare a un cappuccino con sopra la schiuma. I due componenti del piatto da soli sono eccellenti e in sinergia fanno faville. Splendida la vellutata, consistenza perfetta, setosa, mentre l'eterea spuma, in bocca evoca una provola affumicata de-materializzata.

Arrivano poi le "Coquilles Saint-Jacques d'Erquy à l'unilatérale" con te' verde "Ashikubo Sencha" (boh, sarà un famoso cru). Qui non ci siamo (IMHO eh). La cucina sembra avvitarsi su se stessa e sfiorare il manierismo. Il piatto è bellissimo visivamente e la qualità delle verdurine fantastica (croccanti, intense), un po' meno buone le capesante. Di te' verdi non me ne intendo, quindi non so, ma sembrano tre ingredienti che non ci azzeccano niente l'uno con l'altro (non sto "raspellando", proprio un piatto che non ho capito e non mi è piaciuto).



Ci si avvia alla conclusione del concerto con quello che si potrebbe definire il "signature dish", sia pure nella versione ridotta per il degustazione: "Robe des champs multicolore Arlequin". Verdure, verdurine, tuberi, carotine (il menu dice "carotte jaune du Doubs"), tutte fantastiche, sapori intensi e netti. Accompagnate da un cous-cous con un olio aromatizzato alla nocciola.

A sorpresa mi propongono un fuori programma, un'anatra laccata ai fiori di hibiscum. Accetto per curiosità (ormai ero sazio) e con lo scrupolo di vedermi addebitato magari in conto chissà quanto ... ma ormai il dado è tratto. E invece (e qui se fossi una guida direi "doppio bonus") il piatto mi verrà gentilmente offerto. L'anatra è assolutamente inpeccabile, cottura perfetta, tenera ma consistente e la laccatura conferisce al piatto un aspetto intrigante e affascinante.

Il formaggio è un Comté stagionato di tale Bernard Antony.

Il pre-dessert - molto stuzzicante - è composto da un torroncino bianco con carote, uno splendido plum-cake al topinambur e sei piccoli macarons di tre tipi (mela, barbabietola, cardamomo e caffè)

Chiudo in bellezza con la torta di mele "Bouquet de Rose" (quella nella foto in alto) con le mele tagliate a sfoglia sottilissima e arrotolate come roselline.

Bellissima esperienza nel complesso. Non so se sia davvero il tre stelle che ne meriterebbe quattro, come dice qualcuno, né in fondo mi interessa, perché numeretti e classifiche a questi alti livelli non hanno senso. E' comunque una grande cucina con sapori e gusti in armonia, come la metafora musicale del nome stesso del ristorante suggerisce.

lunedì 23 febbraio 2009

Evviva le ronde!

Sarò un inguaribile pessimista, ma la notizia dell'istituzione delle ronde mi preoccupa un po' (a proposito, a Berlusconi, sempre attento al potere delle parole e sempre con una marcia in piu' rispetto agli avversari in comunicazione, il termine non piace, c'è da supporre che cinque reti tv su sette e molti giornali presto le chiameranno in altro modo).

Leggo su questo foglio bolscevico e disfattista che è Repubblica: "La bandiera della sicurezza porta voti e fa gola a molti. Gli altri partiti non stanno a guardare: si muove Alleanza nazionale, con Azione Giovani a Torino, Padova e Venezia; muovono i primi passi le ronde della Destra di Francesco Storace alla periferia di Roma; la Fiamma Tricolore annuncia di aver cento militanti pronti a Trieste; Forza Nuova è già attiva a Foggia e Pescara."

Ecco, come è noto le ronde (pardon i "volontari per la sicurezza") devono essere autorizzate dai prefetti. Possiamo fidarci della lealtà e del senso dello stato di tutti i 105 prefetti italiani? Ci saranno sul serio ronde di militanti di Forza Nuova? E sorgeranno parallelamente pseudo-ronde (che nessun prefetto legittimerebbe) di estremisti di sinistra? Torneremo agli anni '70 ... o forse piu' indietro? ("Fascisti e comunisti giocarono a scopone, e vinsero i fascisti con l'asso di bastone").

E la rabbia nera dove la mettiamo? Se gli immigrati, non solo privi dei piu' elementari diritti, ma pure bastonati legalmente dai baldi volontari ariani, si incazzano veramente, sono dolori.

Ma forse proprio questo è il disegno degli strateghi cossighiani del putin de noantri.

mercoledì 4 giugno 2008

Morioka, Iwate

Sono stato a Morioka, nella prefettura di Iwate, quasi una settimana. Non ho visto granché. Ero lì per un convegno.
Il campus universitario, inaugurato solo dieci anni fa, è bellissimo e immerso nel verde di una regione dai colori quasi alpini. L'aria è frizzante e profuma di fresco. Mi vengono in mente Trento e l'Aquila, università a cui in fondo si potrebbero gemellare.


Ho visitato gli studi dei professori e i laboratori degli studenti. Ci vivono dentro evidentemente. In questa stanza hanno a portata di mano anche il phon.

Semafori blu

A voi non sembra verde questo semaforo? Forse con una sfumatura leggermente diversa rispetto ai nostri. Ma sempre verde è.

Beh, ho scoperto che i giapponesi per dire che un semaforo è verde dicono che è blu. Relativismo culturale. In fondo noi non chiamiamo "bianco" un vino che in realtà è giallo?

martedì 27 maggio 2008

Il giorno dello Shinkansen



Finalmente l'ho preso. Il mitico treno. Letteralmente "la pallottola". L'antenato di tutti i TGV e tutti i pendolini. Non tutti hanno la forma così aerodinamica, il mio era un po' più normale, sempre comunque molto affusolato.

Certo che quando il biglietto si presenta così ci sono un po' di problemi.


Ho dovuto chiedere a un nativo quale carrozza e quale posto prendere.

A bordo cinque sedili per fila e molto spazio per le gambe. Molto piu' che in Italia, eppure i giapponesi sono mediamente piu' piccoli. Quasi tutti tirano fuori dei vassoietti di cibo già pronto e mangiano tranquillamente con le bacchette. Non si vedono panini. Ogni tanto passa una ragazza col carrello dei dolciumi e del caffè. Arrivata in fondo al vagone si gira, si rivolge ai passeggeri, fa un inchino e prosegue oltre.

Ah, il Giappone!

domenica 25 maggio 2008

L'arrivo in Giappone

Sono qui in albergo a scrivere. Fuori è buio e sono solo le otto di sera, non c'è l'ora legale. Che dire? Ieri, sabato - ma mi sembra ancora oggi - è stata una giornata interminabile.

Sveglia alle sei, in auto all'aeroporto e la fortuna di trovare un parcheggio gratuito. Scalo a Zurigo e poi alle 13 si decolla per Tokyo. Undici ore e mezza fantozziane in una poltroncina strettissima e poi all'arrivo, per il mio fuso orario quasi all'una di notte, ma qui sono le 7.50, una bella fila al controllo passaporti di tre quarti d'ora. Ti scattano una foto e ti prendono anche le impronte digitali, finiremo per copiarlo anche noi.

Domani vado a Morioka, nel nord del paese. Prenderò il famoso pendolino, lo Shinkansen, letteralmente "pallottola". Nel frattempo un giorno di riposo ci vuole, e il mio ospite mi ha prenotato un anonimo e confortevole albergone nei pressi dell'aeroporto. In stanza cortesie tipicamente nipponiche, come il kimono e le pantofoline per i clienti.

Ma prima, ciliegina sulla torta, ho dovuto aspettare nella hall quasi due ore, perché il check-in non era ancora cominciato. Rigidità di questo affascinante paese in cui il rispetto degli orari è sacro.



Nel frattempo mi sono guardato un po' di invitati defluire al matrimonio di Tomokazu e Natsuki (gli sposi non li ho visti però). Giovani vestiti come noi e anziane donne in costumi tradizionali.